Turchia, discarica della plastica europea
La Turchia sta diventando la discarica della plastica europea. La Cina nel 2018 ha vietato l’importazione di plastica e altri rifiuti dall’estero. Nonostante l’ambizioso programma del Green Deal, il consumo di plastica usa e getta in Europa è talmente alto che non resta che esportarla. E spesso anche in modo illegale. Semplicemente perché la plastica è troppa. Prima in Cina e adesso in Turchia (e anche in Malesia). Tempo fa, la Corte dei conti europea ha messo in guardia sull’eccessivo consumo di imballaggi di plastica. Nella relazione “L’azione dell’UE per affrontare il problema dei rifiuti di plastica” (che potete leggere qui, la magistratura contabile della UE mette in guardia sia sulla difficoltà di centrare gli obiettivi per il 2025 (50% dei rifiuti plastici riciclati) e 2030 (55%) sul riciclaggio degli imballaggi, sia su futuri scenari. Prima di tutto, c’è l’aspetto ambientale. La Turchia ha standard ben diversi da quelli europei. In secondo luogo, con queste massicce esportazioni l’Europa diventerà dipendente sempre più da Ankara, con tutto quello che ne consegue sul fronte geopolitico. Tutti ricordiamo cosa è successo con i profughi siriani qualche mese fa. Oltre ad avere un impatto ambientale incalcolabile, a fronte di pochi dati certi, chiudere l’accesso dei rifiuti di plastica in Turchia creerebbe un grande problema alla UE.
La Corte dei conti europea ha messo in guardia anche sui criteri di calcolo della plastica riciclata, in realtà molta meno di quello che sembrava nelle prime stime. La quantità di rifiuti plastici non riciclati nell’Unione Europea ammonta a 9.5 milioni di tonnellate.
Una buona parte della plastica prodotta e consumata in Europa alimenta i circuiti illegali. Un’altra finisce nel Mediterraneo. Con l’entrata in vigore della Convenzione di Basilea, nel 2021, le cose da un lato saranno più rigorose, dall’altro si complicheranno, perché la plastica verrà considerata finalmente un “rifiuto pericoloso” ed esportarla al di fuori della UE sarà molto più difficile. Quindi è ipotizzabile che le organizzazioni criminali si offriranno di fare il lavoro sporco, con il risultato che la plastica finirà in mare oppure a bruciare in qualche pianura turca. Già oggi il 50% dei rifiuti pericolosi italiani transita nel ciclo illegale, lo attesta un recente studio condotto da BlockWaste.
C’è molto da riflettere. Nel rilancio “verde” dell’Unione Europea la plastica non può essere dimenticata.