USA: si fa presto a dire democrazia
Ho sempre amato la Costituzione americana perché tra i diritti inalienabili annovera, oltre alla Vita e alla Libertà, anche “la ricerca della Felicità”. Un concetto di una bellezza commovente, perché se la vita e la libertà sono concetti oggettivi, la felicità è totalmente soggettiva, mette l’esigenza dell’individuo al centro, eleva i suoi sentimenti, le sue emozioni a valore da tutelare.
A questo primo articolo della Costituzione si contrappone la realtà quotidiana degli Stati Uniti. Negli ultimi mesi abbiamo assistito a uccisioni di afroamericani da parte della polizia. Abbiamo assistito alle proteste massicce di Black Lives Matter, alle ondate di arresti, alle esibizioni puerili di Trump su twitter, con la Bibbia in mano o a salutare i suoi fan quando aveva il Covid19. Abbiamo infine visto un assalto al Campidoglio e personaggi pittoreschi aggirarsi per le sue sale. Le violenze al Congresso devono essere fermamente condannate, come è stato fatto anche dal Parlamento europeo che ha votato una risoluzione al riguardo, che pure io ho sostenuto, E credo sia necessario fare alcune considerazioni su quanto si è detto in queste ultime settimane.
Per la presa di Capitol Hill – che non si può che stigmatizzare – si è parlato di un colpo al cuore della democrazia. Una definizione che fatico a condividere, perché non riesco a definire democratico uno stato che conserva la pena di morte.
Fatico a definire democratico uno stato che ha una politica estera aggressiva, che ha realizzato, solo pochi anni fa, il campo di prigionia di Guantánamo nella sua base militare cubana o che ha mentito sulle armi di distruzione di massa, giustificando così guerre e decine di migliaia di morti.
Restiamo con i piedi per terra. In termini meno enfatici, l’attacco al Congresso è stato l’assalto all’organo legislativo degli Usa, non alla democrazia tout court, scatenato dalla prima carica dello Stato, ora giustamente sotto impeachment.
Un altra riflessione credo sia necessaria sull’avvicendamento del presidente. Trump non mi è mai piaciuto. Sono imperdonabili le immagini dei bambini messicani allontanati dai genitori, un vero e proprio delitto contro l’umanità. Così come imperdonabile è la mancanza di attenzione per l’ambiente, la sospensione delle riforme sanitarie volute a Obama, le assurde sparate sul Covid. Non basterebbe un editoriale per elencare tutte le scelleratezze compiute da Trump durante gli anni in cui è stato presidente. Biden ha fin da subito dato una netta sterzata rispetto alla politica di Trump e questo è assolutamente pregevole. Ma Biden è anni luce lontano dal popolo americano. Lo conferma anche la superblindata cerimonia di inaugurazione che, a parte le norme per il Covid, schierava misure straordinarie di sicurezza dopo quello che era successo al Campidoglio. Immagini che rendevano tangibili le distanze tra una élite politica e una popolazione che si trova a fronteggiare una pandemia che ha fatto più morti della Seconda Guerra mondiale.
La questione della democrazia statunitense resta aperta più che mai con l’arrivo di Biden. Non saranno solo le sue capacità di mediatore e riformatore a risolverla. Quindi, anche in questa occasione, mettiamo da parte il trionfalismo e le sicurezze assolute. Proviamo a ritrovare la realtà, non quella patinata delle cerimonie ufficiali, ma quella della sconfinata provincia americana, che assurdamente ha trovato in Trump (un perfetto non politico) il suo punto di riferimento e ha approvato la presa del Congresso non semplicemente come una manifestazione a favore del presidente in carica, ma come un atto di disprezzo del potere. Un potere sentito come distante, che non li ha capiti, così come non ha capito il malessere delle periferie urbane e di chi ancora è sottoposto a discriminazione razziale. Tutte condizioni ancora ben lontane da quel bellissimo concetto di Felicità che la costituzione degli Stati Uniti ha disegnato.