Come dovrebbe essere la superprocura pensata da Falcone
Le banche dati sugli appalti sono lo strumento per contrastare più efficacemente le mafie. A dirlo il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, firmando ad Ancona nei giorni scorsi un protocollo assieme alla procura distrettuale delle Marche, con la procura generale e le procure circondariali. Al momento esiste una banca dati solo per gli affidatari degli appalti, ma non di chi vi partecipa. Creando una banca dati che implementi il sistema della Dna, sarà più agevole tenere monitorati gli appalti proprio in un periodo come questo, dove dall’Europa arriveranno molti fondi.
Pregevole iniziativa davvero. Peccato che sulle banche dati ci sia tanta retorica e poca pratica. Mi spiego meglio. Quello sottoscritto è un protocollo d’intesa. Ho sempre avuto una certa diffidenza nei confronti dei protocolli d’intesa. Ne ho visti tanti sottoscritti e mai rispettati, perché una delle caratteristiche peculiari dei protocolli d’intesa è che sono intenti il cui rispetto sta alla buona volontà delle parti, ma – di fatto – non sono previste sanzioni. Ergo: se il sindaco di Paperopoli firma il protocollo d’intesa antimafia per monitorare gli appalti, con tanto di foto di rito e articolo sul giornale, e poi non rispetta una sola riga di quel protocollo, non succede niente. Anzi, potrà vantare un’azione antimafia di facciata che lo metterà al riparo magari da qualche giornalista che decide di andare a vedere meglio a chi vengono effettivamente affidati gli appalti.
In questo caso, il protocollo prevede la messa a disposizione della Dna di una banca dati sui partecipanti agli appalti. Bene. Peccato che nella banca dati della Dna spesso non finiscano nemmeno gli atti che obbligatoriamente dovrebbero essere trasmessi dalle procure distrettuali, senza che per altro nessuno si scandalizzi più di tanto di queste ‘dimenticanze’. Diffidenza da parte dei colleghi che si occupano di antimafia? Manie di protagonismo di alcuni magistrati? Volontà che la verità sia quella già stabilita e che non ci possa essere spazio per altre verità? Con quello che si sente su alcuni magistrati e sul modo in cui hanno fatto carriera, le ragioni di certe distrazioni possono essere tante. Quello che è certo è che se nemmeno gli atti obbligatori vengono trasmessi integralmente e immediatamente – in alcuni casi i colleghi li apprendono dai giornali – diventa difficile che un protocollo d’intesa possa essere veramente rispettato.
Quindi, finite le fotografie e gli articoli sul giornale, sarebbe carino che la Dna diventasse veramente quel centro di coordinamento e contrasto alle mafie pensato da Falcone e non una casella importante nella scacchiera delle nomine delle correnti di magistratura.