Paradisi fiscali
Se leggiamo lo studio Financial Secrecy Index 2020, che stabilisce l’indice di segretezza finanziaria, il quadro mondiale dei paradisi fiscali è molto ampio e, tra luci e ombre, presenta non poche sorprese. Una di queste è che il primo paradiso fiscale al mondo in questo momento sono nientemeno che gli Usa. Al secondo posto, forse con minor sorpresa, troviamo la Svizzera.
Anche l’Unione Europea ha una sua blacklist dove, però, per esempio, gli Usa nemmeno figurano. Ci sono, invece, una serie di paesi esoticu, che annovera tra gli altri Samoa americane, Guam, Isole Vergini americane, Figi, Samoa, Trinidad e Tobago e Vanuatu. A ogni vertice Ecofin l’elenco viene aggiornato, qualche Paese entra e qualcun’altro esce.
Si calcola che i paradisi fiscali sottraggano a quelli dotati di una politica fiscale “normale” una cifra che supera i 600 miliardi di euro all’anno (rapporto Oxfam). Multinazionali e aziende di vario tipo preferiscono stabilire la propria sede dove le tasse sono bassissime. Chi vede sfuggire gli introiti la chiama elusione fiscale: in questo modo, l’Italia si ritrova con 7,4 miliardi di euro tassabili in meno all’anno.
Se l’indice di segretezza bancaria e finanziaria mondiale si sta riducendo (in due anni -7%), troppi Stati vanno in controtendenza. Dopo la Brexit, purtroppo, la Gran Bretagna sembra peggiorare e lo farà alle porte di casa nostra: il suo indice di segretezza è al 26% e nella classifica mondiale i britannici sono già al 12° posto, ma è certo che saliranno ancora. Tra i Paesi della UE c’è di peggio. La Lituania ha aumentato l’indice di segretezza addirittura del 56%. Lussemburgo e Paesi Bassi sono rispettivamente al sesto e all’ottavo posto mondiale.
Sì, perché la maggior parte – per la precisione l’80% – dei paradisi fiscali che ci danneggiano non si trova ai Caraibi, ma all’interno dell’Unione Europea. Le principali destinazioni sono Lussemburgo, Paesi Bassi e Irlanda, che offrono aliquote molto basse e altri vantaggi. Sono paesi dell’area Euro, che applicano le leggi europee. Così come Malta e Cipro e in parte anche il Belgio.
Non è solo un problema di tasse eluse. La scarsa trasparenza bancaria favorisce il riciclaggio di denaro sporco delle organizzazioni criminali e quindi anche mafiose. Giovanni Falcone già nel 1990 aveva spiegato questo sistema in una conferenza in Germania presso la sede della Bka (Bundeskriminalamt, la polizia federale tedesca):
“Mi sembra tuttavia certo che la via decisiva che deve essere intrapresa consista nella distruzione del potere finanziario della criminalità organizzata, il che presuppone a sua volta una collaborazione internazionale energica ed efficace. Gli strumenti già a disposizione per la lotta diretta alle imprese della criminalità organizzata sono necessari e devono essere affinati e moltiplicati. Ma al di là delle singole misure di tipo tradizionale vi è l’esigenza di promuovere e coordinare gli sforzi che tendono a identificare e confiscare i beni di provenienza illecita. Persiste dunque la necessità di un corrispondente adeguamento della legislazione internazionale e della realizzazione di una costante ed efficace collaborazione internazionale. Ciò significa soprattutto l’abolizione dei cosiddetti paradisi fiscali, che fino ad oggi hanno reso vani i tentativi, anche i più decisi, di alcuni Paesi per identificare i flussi di denaro provenienti da attività illecite. Questa è una lotta in cui si devono sentire impegnati tutti i componenti della comunità internazionale, perché dall’esito di questa lotta dipende se la criminalità organizzata potrà essere distrutta o almeno ridimensionata entro limiti in cui non rappresenti più una seria minaccia per la società” (Giovanni Falcone: interventi e proposte. 1982-1992, a cura della fondazione “Giovanni e Francesca Falcone”, Sansoni).
Dal 1990 le cose non sono cambiate, i paradisi fiscali semmai sono aumentati, anche perché da allora la finanza è diventata sempre più complessa e più pervasiva, oltre che globalizzata. I paradisi fiscali, con la loro opacità, si rivelano estremamente utili alle mafie, in quanto permettono di riciclare denaro sporco. Ovviamente il lavaggio del denaro fa comodo anche agli altri protagonisti di queste transazioni finanziarie. Molto spesso nei paradisi fiscali si compiono triangolazioni per far passare i soldi ed evitare che si possa risalire ai reali proprietari. Poi c’è la questione degli investimenti: quando le mafie reinvestono in imprese legali preferiscono farlo logicamente in Paesi con la tassazione più ridotta. Un esempio sono i Paesi Bassi, che con la Germania e la Spagna, sono tra i preferiti della criminalità organizzata. Ma l’Olanda ha caratteristiche specifiche molto congeniali a queste organizzazioni, per esempio ci sono i grandi porti, utili per il commercio della cocaina. E tutti i soldi guadagnati in questo modo possono essere facilmente riciclati, perché i Paesi Bassi hanno rapporti stretti con le sue ex colonie, che spesso sono a loro volta paradisi fiscali. Quindi i soldi sporchi possono svanire e riapparire puliti. Chiaramente i paradisi fiscali non sono stati inventati dalle mafie, ma da chi voleva eludere il pagamento delle tasse e non voleva far vedere le proprie ricchezze. Le operazioni finanziarie sono condotte da professionisti, che pubblicizzano i loro servizi anche in maniera evidente, basta farsi un giro sul web. Il mafioso li utilizza, perché non è capace di effettuare queste operazioni da solo.
Oltre alle organizzazioni criminali, come dicevo all’inizio, ci sono anche le multinazionali e le aziende che eludono il fisco. Si stima che nei paradisi fiscali di tutto il mondo si nasconda una ricchezza tra i 21 e i 32 mila miliardi di dollari. Una mole di denaro enorme. Tornando all’Unione Europea, va detto che non esistono solo i paradisi fiscali, ma anche quelli che il procuratore Nicola Gratteri ha chiamato ‘paradisi normativi’. Per esempio la Germania che, oltre ad avere in certi settori una tassazione molto bassa, non ha alcun limite all’uso del contante. Se arriva un signore con una valigia con 100 mila euro in bigliettoni, per le banche non ci sono problemi.
Per concludere, e concentrandoci sull’Unione Europea, fin quando la competenza in tema di fiscalità e di trasparenza bancaria sarà affidata ai singoli Paesi, poco si potrà fare per armonizzare le normative o perlomeno ridurre la concorrenza sleale.