Azienda Usa per il Recovery Fund italiano: qualcosa non va
Il Governo Draghi ha affidato all’azienda privata statunitense McKinsey una consulenza per poter ultimare il Recovery Plan: il ‘Governo dei migliori’ ha necessità di suggerimenti esterni, per di più dall’estero, per finire un Recovery Plan che il Governo Conte di fatto aveva già ultimato. L’azienda statunitense ha già lavorato per il ministero dell’Economia negli anni passati, ma stavolta, come scrive il Mef in una nota: “L’attività di supporto richiesta a McKinsey riguarda l’elaborazione di uno studio sui piani nazionali Next Generation”. Una faccenda ben più sostanziosa.
L’affidarsi a consulenze esterne private è diventata prassi in molti Stati. La stessa McKinsey aveva avuto un contratto da un milione di euro con l’Unione europea per un consulto sulla gestione di rapporti con la Turchia e da 1,9 milioni di sterline nel 2017 dalla Gran Bretagna per la questione Brexit (e abbiamo visto come è andata a finire).
Credo però che sia importante fare alcune riflessioni su questo contratto.
Prima di tutto la società McKinsey non è esattamente trasparente. Negli Stati Uniti è finita al centro di diversi scandali, basta leggere qualche articolo dei principali quotidiani italiani e stranieri.
Tra le caratteristiche della società vi è quella che non lavora in esclusiva (essendo una società privata è anche logico) e non rende pubblici i suoi clienti. Pertanto non è possibile sapere se agisca in conflitto di interessi. Come posso io cittadina essere sicura che la consulenza di questa multinazionale statunitense sia a favore del popolo italiano e non di qualche altro suo cliente (o di qualche altro Stato) che la paga di più? Di fatto non ho alcuna certezza, perché non so nemmeno chi sono gli altri clienti. Comunque, anche se ci fosse un conflitto di interesse, non ci sarebbe nulla di illegale, visto che nessun partito, fino ad ora, è riuscito a mettere mano a questa agognata legge sul conflitto di interessi, che deve essere un’assoluta priorità per uno stato civile.
C’è poi un altro punto su cui è importante riflettere. Come sapete il 20% del Recovery Fund è dedicato esclusivamente alla digitalizzazione, quello che non sapete forse è che proprio il ministro della Transizione digitale, Vittorio Colao, ha lavorato per la McKinsey. Lo stesso Colao a cui il governo Conte aveva affidato la task force che l’8 giugno scorso aveva redatto un dossier di 121 pagine col piano per la ripartenza. Il lavoro di Colao è stato così inutile da rendere necessaria un’altra consulenza? Allora, forse, non era il ministro ‘migliore’. Inoltre, perché si è scelta questa azienda invece di un’altra, magari italiana? Non ce ne sono in Italia società di consulenza? E poi, dal momento che non si è passati per gara d’appalto, ma si è proceduto per affidamento diretto, la scelta della McKinsey potrebbe essere stata influenzata dall’attuale ministro ed ex dipendente Colao? Probabilmente non è così, ma a un cittadino il dubbio può sorgere.
Un altro enorme problema è proprio il contratto. La consulenza è stata assegnata secondo il Codice degli appalti come servizio sotto soglia, per un importo di 25mila euro più Iva. Ma cercando su internet, il ‘tariffario’ della McKinsey è di 15mila euro al giorno e abbiamo visto prima contratti milionari con Ue e Gran Bretagna. Quindi: o la McKinsey ha fatto un super sconto allo Stato italiano scoprendo per la prima volta la pura benevolenza, oppure qualcosa non va. Con 25mila euro il Governo paga due giorni di consulenza? Bastano solo due giorni per chiudere il Recovery Plan? E allora c’era tutta questa necessità di ricorrere a consulenti esterni? Con i suoi 25mila euro, lo Stato italiano è, quindi, un cliente di infima importanza per la McKinsey: perché dovrebbe fare gli interessi di un cliente minore, quando ‘indirizzando’ il piano di aiuti europei, può fare gli interessi di altri clienti che lo pagano ben di più? Per un’impresa privata, questa è semplicemente la legge di mercato.
Altro problema è la mancanza totale di trasparenza su un contratto così delicato: la notizia è trapelata grazie a Radio Popolare. Sarebbe stato invece opportuno spiegare la necessità di ricorrere a un privato dal momento che lo Stato italiano ha società di consulenza che potevano fare un lavoro analogo. Oltre agli esperti che lavorano già nella pubblica amministrazione, esiste la società Sogei, del ministero del Tesoro che si occupa di attività di monitoraggio e realizza servizi informatici, oppure la Studiare Sviluppo, di proprietà del Ministero dell’Economia e finanze che svolge esattamente lo stesso lavoro affidato alla McKinsey. Invece di spiegare perché non ha usato la ‘sua’ società e chiarire i termini del contratto, il Mef si è limitato a emettere un comunicato successivo alla ‘fuga di notizie’ per fare alcune precisazioni, tra cui quella che resta in capo al Ministero la decisione ultima sul Recovery. E ci mancherebbe altro, mi verrebbe da dire! Altrimenti invece che un Governo tecnico-politico, Mattarella poteva prendere direttamente un’azienda di management a governare l’Italia.
È questa la strada per cogliere al meglio le opportunità offerte dal Recovery Fund? Io credo di no. I soldi che arriveranno dall’Europa (in parte a fondo perduto, in parte da restituire) devono servire a tutti gli italiani, per creare lavoro dignitoso, per supportare le classi medie e medio-basse (oggi le più sacrificate), per sviluppare le potenzialità di questa nostra magnifica Terra, per valorizzare i giovani talenti e chi ha voglia di fare seriamente impresa, puntando verso una reale transizione digitale ed ecologica, non quella a parole, non quella delle multinazionali che massimizzano solo i profitti.